Era una notte di mezza estate, il cielo punteggiato da miriadi di stelle luccicanti e l’aria appena mossa da una leggera brezza, quasi una liberazione dopo una giornata di caldo torrido e umido.
Francesco e Patty se ne stavano sulle panche fuori dal loro locale a chiacchierare, sorseggiando un calice di buon vino rosso, come erano soliti fare tutte le sere a fine lavoro. Potevano così godersi tranquilli un po’ di fresco e di silenzio, sollevando di tanto in tanto gli occhi verso il cielo buio e pulito nella fanciullesca speranza di scorgere la scia luminosa di qualche stella cadente.
In giro a quell’ora ormai non c’era quasi più nessuno, tranne qualche raro cane col padrone per un giretto tardivo.
I candidi raggi della luna illuminavano la piazza medievale del Duomo in cui troneggiavano non una, ma ben due cattedrali: il Duomo Nuovo, costruito tra il 1600 e il 1800, una struttura maestosa con la facciata in pietra di Botticino; e il Duomo Vecchio, attiguo, una splendida costruzione romanica a pianta rotonda posta più in basso, quasi infossata, secondo l’antico livello della città. Ad arricchire e dare pregio a quello che per definizione identifica il centro storico di Brescia c’è la costruzione del palazzo Broletto, da cui si erge la torre medievale del Pègol che sovrasta la piazza del Duomo.
La bella piazza adesso vuota era tutta solo per loro.
Erano ormai le due, ma di stelle cadenti neppure l’ombra.
– Alùra, che fòm? – chiese a un tratto la donna.
– Ci ho pensato, sai, e alla fine mi sembra che la tua idea del concorso sia la migliore – le rispose lui.
– Si potrebbe organizzare per l’autunno, così abbiamo tutto il tempo. Che ne dici?
Erano marito e moglie e proprio sulla piazza del Duomo, cuore della città, gestivano insieme il ristorante “La tana del lupo”.
Nato come pizzeria, il locale pian piano si era trasformato, divenendo un rinomato ritrovo. Andava alla grande ed era sempre pieno di gente.
I due volevano festeggiare in modo simpatico e insolito non solo il decennale della loro attività, ma anche il fortunato sodalizio che si era venuto a creare tra loro.
E così, pensa e ripensa, alla fine era venuta fuori l’idea di un concorso eno-gastronomico.
I concorrenti, cuochi non professionisti, si sarebbero confrontati con una ricetta personale. Una commissione esterna, formata da tre chef, avrebbe valutato i lavori e designato alla fine il vincitore, mentre a Francesco e Patty sarebbe toccato il gravoso compito di scegliere le ricette, massimo 15, da ammettere al concorso.
Si erano trovati d’accordo su questa preselezione, ritenuta necessaria per rendere gestibile la faccenda evitando così che il numero dei partecipanti diventasse eccessivo.
In una data ancora da stabilire, i magnifici 15 avrebbero preparato i loro primi che sarebbero stati presentati in modo anonimo al giudizio della giuria. Solo nella seconda parte della serata si sarebbe conosciuto il nome dei partecipanti e del vincitore. Non si voleva in alcun modo influenzare i giudici.
Il concorso organizzato così era sembrato però un po’ troppo semplice, quasi banale.
A furia di lambiccarsi il cervello alla fine avevano trovato come vivacizzare l’evento: il piatto in concorso sarebbe stato un primo di pasta, tipico della tradizione della cucina italiana, avrebbe dovuto essere vegetariano, gli ingredienti usati massimo 15 quanti i concorrenti, si sarebbe dovuto abbinare il vino adatto, dare un nome alla ricetta.
Conclusa la gara, le ricette sarebbero state raccolte in un libro e pubblicate. Al vincitore sarebbe stato rilasciato un diploma e copia del libro.
Man mano che parlavano il progetto prendeva forma, cresceva l’entusiasmo e l’idea, prima semplicemente abbozzata, veniva arricchita di particolari.
Alla fine avevano stabilito quasi tutte le varie regole.
Patty, che al suo solito andava subito al sodo, aveva preso carta e penna iniziando a trascrivere i vari punti, prima che – diceva – le parole diventassero vento. Avevano quindi deciso di formalizzare per bene il bando del concorso, per poi pubblicarlo sul loro sito e farlo girare in rete.
Trovato l’accordo su tutto, avevano deciso che era arrivata l’ora di togliere le tende e andarsene a casa a dormire, perché erano veramente cotti dalla stanchezza.
La scelta degli chef avrebbe dovuto aspettare. Ci avrebbero pensato l’indomani, giorno di chiusura.
Domani – secondo Rossella O’Hara – dopotuttoè un altro giorno.
Qualche nuova idea sarebbe certamente arrivata.
La scelta degli chef invece non era stata all’inizio impresa facile, ma per fortuna a Francesco era venuta un’illuminazione.
Si era ricordato del suo amico Luca, un giovane cuoco rientrato da poco tempo in Italia dal Giappone dove per alcuni anni aveva gestito con grande successo una scuola di cucina italiana, che nei paesi del Sol Levante pare sia molto apprezzata. Gliene aveva parlato e quello aveva accettato la proposta quasi divertito, suggerendogli a sua volta dei nominativi di altri chef della zona che pensava avrebbero dato una mano volentieri.
E fu così che coinvolsero Gianpaolo, titolare e chef di un ristorante storico a Salò, sul lago di Garda, e Mario, dalla fama di ottimo cuoco di un piccolo locale in val Trompia.
Entrambi aderirono volentieri all’invito.
Arrivarono numerose iscrizioni al concorso, quasi una trentina, più di quante si sarebbe potuto immaginare all’inizio. Ma, come stabilito, solo 15 avrebbero gareggiato.
Quando Francesco e Patty iniziarono a esaminare le ricette dei vari partecipanti, in prima battuta ne esclusero subito 6 perché non erano state rispettate alcune modalità richieste dal bando di concorso. Passarono dunque alla lettura delle ricette.
Tutti sanno che uno dei punti cruciali dei libri di cucina, a parte ovviamente la bontà dei piatti proposti, è dato dalla chiarezza con cui si elencano ingredienti e dosi, ma soprattutto si spiegano le fasi di esecuzione di un piatto, in modo da guidare un neofita culinario.
I due si resero conto ben presto che alcune delle ricette di questi aspiranti cuochi sarebbero state difficili da realizzare o per l’imprecisione nello stabilire le dosi o in qualche caso perché erano state scritte in modo poco chiaro.
Certo nessuno pretendeva che questi fossero dei Pellegrino Artusi, ma – diamine! – che almeno sapessero spiegare come realizzare il piatto!
Procedevano comunque spediti, eliminando ora questa ora quella ricetta e badando a scegliere le più sfiziose. E per fortuna ce n’erano diverse che presentavano qualche spunto di sperimentazione o di originalità gastronomica.
Numerarono quindi le 15 ricette scelte, le stamparono al computer, le infilarono ciascuna in una busta che chiusero, trascrivendo fuori solo il numero che riportarono sulle buste chiuse in cui erano contenuti nome e dati dell’aspirante cuoco, per evitare ogni possibile identificazione.
A fine giornata la selezione si era conclusa.
Nei giorni seguenti avrebbero contattato gli ammessi alla gara per comunicare che erano stati selezionati e le varie modalità, tra cui data e ora.
Erano certi che l’evento avrebbe avuto successo e che per l’occasione alla serata avrebbe partecipato un sacco di gente, tra amici e clienti.
Arrivò finalmente il giorno della gara.
I 15 concorrenti avevano preparato con grande cura le loro ricette. Poi, dopo averle disposte sui piatti da portata del ristorante le avevano consegnate agli organizzatori. In una saletta al primo piano del locale, che si affacciava sulla piazza Duomo, aspettavano il risultato, con un’apprensione paragonabile solo a quella che assale gli studenti prima di una temuta interrogazione. I partecipanti chiacchieravano tra loro, con finta indifferenza, senza però fare alcun riferimento al piatto che ciascuno aveva cucinato.
Il gruppo era composto principalmente da uomini di età variabile tra i trenta e i cinquanta anni e da solo tre donne, stranamente tutte giovani.
A loro arrivavano le voci smorzate di chi si trovava giù nel locale e dal rumore si capiva che era pieno di gente. Questo, insieme all’ansia del momento, accresceva il nervosismo.
Ogni piatto, preparato con cura, presentava la pasta con varia scenografia: piccoli tortini colorati, tranci a spicchi, montagnole tremule, sformatini e altri ancora: una magnifica carrellata di primi. Molti erano abbelliti dalla ormai onnipresente rucola.
Insomma, il tutto era un tripudio di fantasia e di sapori.
Intanto i giudici erano impegnati con serietà nel loro compito. Osservavano attentamente come il cibo veniva presentato, poi lo assaggiavano con molta calma, valutavano la scelta del vino che accompagnava e lo sorseggiavano.
Ciascuno dava un voto, senza confrontarsi però con gli altri due colleghi, in modo da esprimere il proprio giudizio con la massima imparzialità.
Pian piano si era giunti ormai alla fine.
Sul tavolo della giuria arrivò l’ultimo piatto quello del concorrente n.15 e il vino scelto, il Bianco Imperiale Berlucchi, un tranquillo Chardonnay secco.
Nel mezzo del piatto di portata, bianco e quadrato, troneggiava un semplice carciofo, grosso e tondo.
Le foglie esterne, di un verde oleoso e lucido che si scuriva gradualmente verso le punte, erano state tutte allargate e appiattite, simili ai petali di un fiore. L’interno, quasi completamente svuotato, fungeva da calice per la pasta. Delle pennette rigate, amalgamate con un ricco condimento dalla tonalità verde chiaro, erano disposte in verticale con le punte verso l’alto, simulando così la corolla di un fiore. Alla base di questo fiore-carciofo, simile a un corto peduncolo, spuntava il gambo. Il tutto era stato appena spolverizzato da foglie di prezzemolo minutamente tritato.
I carciofi così preparati, visti da vicino, sembravano più delle piccole sculture che un cibo e la presenza di verde e bianco creava un piacevole contrasto cromatico.
Un vero colpo d’occhio!
Ogni giudice mise mano all’assaggio.
Luca, dopo la prima forchettata, pensieroso e stupito, si bloccò e osservò il piatto.
Poi chiuse gli occhi, richiamato da un ricordo lontano.
Un caldo autunno siciliano, Ginostra, un luogo incontaminato e magico dove le stradine non hanno nomi e i posti si riconoscono dalle case. C’è la Casa del Glicine, la Casa della Musica e tante altre dai nomi delicati e pieni di fascino.
Ricordava il luogo che l’aveva accolto e ospitato, dove era stato immensamente felice: la Casa dei Limoni. Gli sembrava di sentire gli aromi e i sapori di quel passato.
Il cuore cominciò a battergli forte nel petto e a tradimento lo assalì una struggente nostalgia per chi pensava di aver dimenticato. Lei, il suo amore isolano, Rosa. Conocerse es el relàmpago, conoscersi è luce improvvisa.
Era stato amore improvviso, inatteso, fortuito. L’aveva incontrata per caso, amata perdutamente, ingiustamente ferita e poi persa per inseguire sogni di successo. Erano trascorsi primavere ed estati, giorni e notti, mesi, ma ora comprese che il tempo non aveva cancellato il ricordo.
Intanto la saletta si era svuotata. Erano rimasti solo i giudici che dovevano consultarsi per stabilire quale piatto dovesse vincere il concorso.
Mario e Gianpaolo guardavano Luca che sembrava fosse come in trance.
– Luca, fa mìa l’àsen – gli disse Mario. – Bisogna scegliere il vincitore.
Silenzio.
Non sembrava aver sentito.
– Noi avremmo deciso. E saremmo d’accordo. Tè, che pènse? – lo incalzò ancora Mario.
– Sì, dai, pronto anch’io – disse alla fine Luca, come strappato ai suoi pensieri.
– Certo, scegliere l’è come sercàga la pistola ai frà – ammise a questo punto Gianpaolo. –Almeno fino ad un certo punto.
– Che vuoi dire? – chiese Luca.
– Ossignùr! – esclamò quello. – Ma non hai visto?
– Gnàro, vuol dire che sino alla fine sarebbe stato difficile scegliere. Almeno fino all’ultimo piatto – gli spiegò ora Mario.
– Il 15 dunque – disse Luca.
Sembrava proprio che il piatto numero 15 li avesse stregati. Era piaciuto senza alcuna incertezza, e anche la scelta del vino abbinato.
Lo avevano ritenuto il migliore all’unanimità.
A questo punto gli organizzatori chiamarono i partecipanti che fecero il loro ingresso in sala un po’ emozionati.
Nella confusione che si era creata a stento si sentì il nome del numero 15, il vincitore: