
Viviamo giorni tristi, di grande preoccupazione per noi stessi e per chi amiamo. Nelle città più colpite dall’epidemia si cerca disperatamente di fronteggiare il virus, altrove nel Paese di circoscriverlo, sperando con l’isolamento di riuscire a contrastare la diffusione. Ma la furia del contagio sembra non volersi arrestare. Ieri, 18 marzo, i morti sono stati 475.
Si cercano strategie per gestire l’emergenza, intanto si sta chiusi in casa, fisicamente isolati dal mondo esterno, seguendo le notizie sui media e sul web. Per le strade un innaturale “silenzio di morte”, interrotto dagli altoparlanti comunali che girano per le vie, raccomandando a gran voce di stare a casa. E dall’urlo delle ambulanze.
Si sente di moribondi in straziante solitudine, senza neppure il conforto dei parenti, per evitare ulteriori contagi. I “…cadaveri portati alla fossa, senza onor d’esequie, senza canto, senza accompagnamento”.
In questa situazione quasi manzoniana, inorridita, leggo orripilanti affermazioni di alcuni scrittori. Scrittori.La signora Lidia Ravera esordisce con parole che mi lasciano basita.
“I libri sono generi di prima necessità. Come il pane. E senza questo pane, in questo momento, rischiamo di morire di fame.” Il 40% di italiani legge solo un libro l’anno. Non moriranno quindi d’inedia.
“…riapri le librerie, magari con un commesso solo, con le mascherine, con i guanti, con l’ingresso di due clienti per volta, con il numerino come fuori dal supermercato, con l’amuchina, il disinfettante, con tutte le accortezze necessarie per tutelare lavoratori e titolari…ma riaprile.” Diritti e difesa dei lavoratori: parole sessantottine dimenticate col passare del tempo e con l’età?
“Far entrare un buon romanzo nelle case degli italiani costretti a casa, è un dovere democratico, una misura terapeutica, un supporto essenziale per superare un momento difficile, che durerà ancora parecchio.”
Alla voce della signora si uniscono altre voci di autorevoli, tale Massimo Carlotto e tale Maurizio de Giovanni. Anche il signor Luca Telese, che fa parte del gruppo “Perché le librerie sono chiuse e gli altri negozi no?”, ha voluto offrire il suo prezioso contributo con un articolo in cui dice: “Sembra l’universo distopico immaginato da Ray Bradbury in “Fahrenheit 451”: in quel romanzo i libri venivano proibiti e bruciati dai pompieri. Nel nostro caso sono semplicemente proibiti. Non è confortante.” Proibiti?
E per la mia pace non commento, ma mi fermo qui.
Un buon lettore di solito possiede in casa libri comprati e non ancora letti, quindi potrà seguire in tutta tranquillità la terapia. Inoltre scrittori e case editrici mettono a disposizione online ogni giorno contenuti di qualità, per promuovere la cultura davvero. Per fortuna non tutti gli scrittori sono dello stesso avviso.
Alessandro Robecchi per esempio ha usato sul tema parole misurate, adeguate al momento, prive di ipocrisia, intrise di speranza, di umana pìetas e di tanto buon senso. “I librai soffrono in questo momento, ci sarà un modo e un tempo per rifarsi”.
Chi può, rimanga a casa. E legga libri, e ascolti. Ascolti chi ha in serbo per noi parole preziose.